Monza, 12 maggio 2014
Il 6 u.s. il Consiglio Regionale
ha approvato, con i voti della maggioranza, la mozione n. 120 che impegna la
Regione ad attivarsi per realizzare il museo dell’automobile usando le curve
sopraelevate della pista.
Contro si sono espressi il Movimento 5 Stelle ed il Patto Civico – Con Ambrosoli Presidente.
Il PD si è astenuto.
Noi
riteniamo che sia pessima l'idea di allestire un museo dell’automobile presso le
vecchie sopraelevate dell'autodromo.
Prima del
dicembre 2007 l'orientamento sulle sorti del rudere del catino di alta velocità
che ingombra 60 ettari del Parco di Monza, era ampiamente condiviso e
coincideva con l’orientamento di uomini di cultura, urbanisti, pianificatori e
amministratori: demolire l’impianto, inutile per l’Autodromo, conservandone un
breve tratto per memoria.
Così prevedevano il Piano Intercomunale Milanese, il progetto di Piano Regolatore di Monza di Leonardo Benevolo, così prevede il tuttora vigente Piano della Valle del Lambro. E il progetto di Annalisa Maniglio Calcagno, massima esponente degli studiosi di architettura del paesaggio; e il pensiero di Lucia Gremmo, rimpianta Soprintendente ai Beni Culturali e Architettonici di Milano. E infine la precedente convenzione tra i Comuni di Monza e di Milano e la SIAS, gestore dell’Autodromo. Quest’ultima prevedeva la demolizione, a spese del concessionario (al quale era stato ridotto il canone proprio a questo scopo) delle malfatte, inutili e cadenti curve sopraelevate.
Le motivazioni sembravano ovvie: la storia del catino di alta velocità è una storia, oltre che di devastazione, di reiterati fallimenti (sia dopo la prima costruzione del 1922, sia dopo il rifacimento del 1955), che incisero molto negativamente sull’immagine dello stesso Autodromo di Monza. Basti dire che le curve sopraelevate, rifiutate dai piloti di F1, furono definite dalla stampa internazionale come “il muro della morte”.
Così prevedevano il Piano Intercomunale Milanese, il progetto di Piano Regolatore di Monza di Leonardo Benevolo, così prevede il tuttora vigente Piano della Valle del Lambro. E il progetto di Annalisa Maniglio Calcagno, massima esponente degli studiosi di architettura del paesaggio; e il pensiero di Lucia Gremmo, rimpianta Soprintendente ai Beni Culturali e Architettonici di Milano. E infine la precedente convenzione tra i Comuni di Monza e di Milano e la SIAS, gestore dell’Autodromo. Quest’ultima prevedeva la demolizione, a spese del concessionario (al quale era stato ridotto il canone proprio a questo scopo) delle malfatte, inutili e cadenti curve sopraelevate.
Le motivazioni sembravano ovvie: la storia del catino di alta velocità è una storia, oltre che di devastazione, di reiterati fallimenti (sia dopo la prima costruzione del 1922, sia dopo il rifacimento del 1955), che incisero molto negativamente sull’immagine dello stesso Autodromo di Monza. Basti dire che le curve sopraelevate, rifiutate dai piloti di F1, furono definite dalla stampa internazionale come “il muro della morte”.
Naturalmente,
questo pressoché unanime orientamento non era e non è senza avversari,
politicamente ed economicamente molto potenti: in particolare l’Automobile Club
di Milano e la controllata SIAS che gestisce l’Autodromo.
I quali cavalcano una diffusa ignoranza e disinformazione sul reale oggetto del contendere: che consiste nella restituzione al Parco di vaste aree verdi, senza incidere in alcun modo sulle attività dell’Autodromo e in particolare sullo svolgimento del Gran premio di F1. Come esempio di questa disinformazione, basti dire che molti confondono i ruderi delle sopraelevate con la curva parabolica, che è invece parte integrante della pista storica su cui da sempre si corre il Gran Premio di F1, e che è fuori discussione. Confusione molto utile per chi vuole presentare i sostenitori della restituzione al Parco di preziose aree verdi come nemici dell’Autodromo.
Ma c’è un argomento in particolare su cui gli oppositori alla demolizione fanno leva: comunque sia, ormai il manufatto ha più di 50 anni, e quindi è entrato nella storia. Rispetto a questa storicità “oggettiva”, quella ben più rilevante del parco storico, capolavoro architettonico e naturalistico bicentenario, viene rimossa.
I quali cavalcano una diffusa ignoranza e disinformazione sul reale oggetto del contendere: che consiste nella restituzione al Parco di vaste aree verdi, senza incidere in alcun modo sulle attività dell’Autodromo e in particolare sullo svolgimento del Gran premio di F1. Come esempio di questa disinformazione, basti dire che molti confondono i ruderi delle sopraelevate con la curva parabolica, che è invece parte integrante della pista storica su cui da sempre si corre il Gran Premio di F1, e che è fuori discussione. Confusione molto utile per chi vuole presentare i sostenitori della restituzione al Parco di preziose aree verdi come nemici dell’Autodromo.
Ma c’è un argomento in particolare su cui gli oppositori alla demolizione fanno leva: comunque sia, ormai il manufatto ha più di 50 anni, e quindi è entrato nella storia. Rispetto a questa storicità “oggettiva”, quella ben più rilevante del parco storico, capolavoro architettonico e naturalistico bicentenario, viene rimossa.
Così come
si passa sotto silenzio il fatto positivo che, dopo un secolo di degrado, una
provvidenziale legge regionale (LR 40/95), recante un Piano per la rinascita del Parco di Monza, ha bloccato e invertito
il processo degenerativo, consentendo l’avvio del restauro del Parco (vedi ad
esempio l’eliminazione dell’inutile e invasivo ippodromo dal Mirabello, con il
recupero della grandiosa vista sulle Alpi lombarde).
Ma oltre
che rimossa, la reale memoria storica viene di colpo cancellata: difatti tutto
cambiò con la convenzione che consegnò nuovamente alla SIAS la gestione
dell’Autodromo, deliberata dalla Giunta del Comune di Monza il 21 dicembre
2007. L'allora nuovo sindaco Mariani non perdette tempo per approvare una
convenzione che obbligò, contro ogni orientamento precedente, la SIAS a
restaurare entro cinque anni dalla sottoscrizione le curve sopraelevate, sotto
pena di 1000 euro per ogni giorno di ritardo.
Ebbene i
5 anni scadono esattamente tra 2 mesi e la SIAS fino ad oggi non ha fatto
nulla, se non la progettazione del restauro per un costo di 800 mila euro. Quindi
la situazione oggi è la seguente: la disastrata Sias dovrebbe tirare fuori 800
mila euro per il restauro delle sopraelevate più 1000 euro al giorno, a partire
dal 4 luglio prossimo, fino alla fine dei lavori, che non sono nemmeno
cominciati.
Non
vorremmo che l'obiettivo reale di questa mozione fosse quello di dare a SIAS il
pretesto per non fare niente e non pagare dazio: non avrebbe senso infatti
porre mano ad un manufatto se se ne intende variare la destinazione d'uso.
Oppure,
in subordine, scaricare sul pubblico (la Regione) l'onere di un'attività che era
per contratto in capo al privato (la SIAS). Perché non è affatto chiaro, nel
testo della mozione, chi dovrebbe farsi carico dei costi di realizzazione di
questo museo.
Ci sembra
inoltre fumo negli occhi il riferimento a Expo: è assai difficile, per non dire
impossibile, che i lavori di allestimento terminino in tempo utile: EXPO
inizierà esattamente fra un anno e durerà sei mesi. Basta andare a vedere in
che stato sono i manufatti in cemento armato: in molti punti i ferri sono a
vista ed arrugginiti.
In sintesi:
In sintesi:
Si
cancelli di comune accordo fra SIAS e Comune di Monza l’art. 5 della
convenzione, così da non creare pregiudizio per nessuno dei contraenti.
No,
quindi, al recupero di quel fallimento tecnologico, di quell'errore di
progettazione che furono le sopraelevate; ma se ne proceda all’abbattimento,
per restituire al Parco un'importante superficie riqualificata di 60 ettari in
coerenza con la reale memoria storica di quel capolavoro architettonico e
naturalistico che è il Parco di Monza.
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